La guerra in casa - Il tradimento/3

2022-09-17 12:29:43 By : Mr. Eason Wen

”Fratelli si ma ognuno mangi il suo pane”:  con voce stentorea Ivan Ignotienko, direttore della fabbrica “Progress” di Kiev,  si rivolgeva alla mia segretaria Svetlana, russa di Mosca, siamo nell’autunno del  1990 nei  giorni che precedono la nascita  “miracolosa”  dell’Ucraina  dalle ceneri dell’Unione Sovietica.  Svetlana come molti Russi vedeva la separazione dall’ Ucraina come un fatto innaturale: “siamo fratelli” diceva, uniti da sempre, dividerci sarà dannoso per tutti… Ivan viceversa, come gran parte dei dirigenti ucraini, vedeva nella separazione una opportunità per affrancarsi da Mosca e gestire in proprio le risorse ucraine.

La nascita dell’Ucraina fu  una  incredibile trasformazione geopolitica che non avvenne per un confronto tra forze diverse, ma per partenogenesi. Quasi per caso un contesto geografico  diventava politico.

Vi furono manifestazioni giovanili,  fu organizzata una catena umana da Kiev a Lviv (o Lvov come si diceva allora), con più di 300.000 persone, il tutto in un clima gioioso, in un anelito di libertà… Non vi era (ancora) nessun revanscismo nazionalista, era solo una fuga dalla cappa sovietica, la dichiarazione della fine dell’”homo sovieticus”(una specie umana estinta senza lasciare  rimpianto). Per chi non avesse avuto la possibilità di incontrare un sovieticus indico di seguito alcune prerogative della specie: il bicchiere di vodka è sempre mezzo vuoto, a differenza della cultura cristiana che vede nel domani la redenzione, per il sovieticus  il domani è sempre un’incognita negativa. Si infila in ogni coda perché spera che alla fine ci sia qualcosa da comprare e qualunque cosa sia gli permetterà di aprire la lunghissima seria di baratti che se sarà fortunato gli consentirà di ottenere quel che gli serve. Vive nell’ansia della penuria avendo in casa 50 kg di zucchero, si lamenta che i negozi ne siano sprovvisti. Sobbalza al suono del campanello di casa perché nessuna nuova è una buona nuova, ecc…

 Nell’ovest del paese specialmente in Galizia le cose venivano vissute diversamente era la liberazione dall’occupazione dai russi che avevano più volte invaso la regione e contro cui in Galizia si era combattuta una guerriglia partigiana fino al 1950. Questa differente percezione dell’indipendenza Ucraina ha ancora oggi un ruolo cruciale nella vita politica del paese.

Naturalmente questa nascita senza travaglio sarà pagata a carissimo prezzo dagli Ucraini, come anche da tutti gli altri Paesi nati dall‘Unione Sovietica. Come eredi dell’URSS ne subirono il fallimento: fu il più grande fallimento della storia dell’umanità, la somma di tutte le crisi economiche occidentali non crearono tanti danni come il crollo del sistema economico sovietico. In occidente arrivò solo un eco del terremoto che investì quella regione in quanto il sistema economico russo era poco interconnesso con quello occidentale, ma l’ economia  si paralizzò, le aziende smisero di funzionare, milioni di lavoratori si trovarono senza salario. Il crollo dell’”economia di piano” non aveva lasciato nessun margine per il sorgere di una economia di mercato a cui si ispiravano i nuovi stati, e la dirigenza delle imprese era assolutamente impreparata al cambiamento. In più, cosa più grave di tutte, questi nuovi stati cambiarono regime politico ed economico senza una ridefinizione delle norme e del diritto.

 Il sistema sovietico si era formato in decenni di perfezionamento ed era la quintessenza di un organismo burocratico incredibilmente complesso che non lasciava margini di manovra in qualsivoglia aspetto della vita di un individuo e ancora di più per la gestione aziendale. Tutto era riportato al centro che decideva e controllava attraverso il sistema burocratico, le aziende erano solo centri di trasformazione, tutto era predisposto con piani quinquennali, non vi era spazio per nessun tipo di iniziativa. Fare funzionare  un’economia di mercato in un contesto democratico, con quelle normative, era come mettere il gasolio in una macchina a benzina: fu il caos. Il livello di vita precipitò da quello sovietico, già giudicato insufficiente dalle popolazioni tanto da costituire uno dei principali fattori dello scollamento dell’URSS, a una miseria diffusa dove la sopravvivenza era garantita dalla lenta ma continua depredazione di ciò che rimaneva nelle fabbriche. 

L’Ucraina attraversò questo periodo travagliato con  grande difficoltà. La moneta veniva sostituita da “cuponi”, il caos regnava sovrano, si formarono gruppi criminali spesso nati per ragioni di sopravvivenza che in seguito si sostituirono alla fragile macchina statale oberata da milioni di burocrati che non avevano più una funzione reale.

L’ economia sopravviveva grazie all’export di commodity e malgrado le difficoltà burocratiche imprenditori stranieri, attratti dai bassi costi e dalle materie prime, cominciavano a investire in Ucraina. Data la legislazione del paese era obbligatorio avere partner locali, normalmente erano i direttori delle fabbriche esistenti in quanto di nuovo non si poteva costruire niente e le fabbriche “sovietiche” erano praticamente ferme. Il socio ucraino era spesso un problema più complesso della burocrazia, la completa ignoranza di qualsiasi nozione di mercato, la mancanza di spirito imprenditoriale, rendevano il socio una vera palla al piede che in molti casi portò le joint venture alla chiusura (non al fallimento perché in Ucraina data la legislazione sovietica il fallimento non era contemplato). E’ anche vero che viaggiare all’estero era per gli Ucraini molto complicato sia  per avere i documenti di espatrio sia per ottenere i visti dei paesi occidentali, quindi mancando esperienze dirette di realtà diverse era molto difficile capire un cambiamento così radicale solo su base teorica o con l’indottrinamento che gli facevamo noi.

In quel periodo avevo convinto il mio amico Virginio ad aprire una unità produttiva in Ucraina. Era uno dei più grandi produttori di sandali d’Europa e organizzai con Ivan Ignotienko di fare una società per produrre sandali in uno dei tanti reparti ormai fermi della Progress. L’organizzazione del reparto fu abbastanza semplice e commercialmente Virginio riuscì a convincere un grossa catena tedesca di “Hard discount” a fare un ordine abbastanza importante per far iniziare la produzione (in quegli anni, siamo nel 1992, l’Ucraina era sotto la “sovraintendenza” tedesca).

All’inizio andò tutto abbastanza bene poi… In arrivo dall’Italia andammo in ditta, fatto un rapido giro in reparto ci recammo all’ufficio di Ivan, aperta la porta lo vedemmo seduto alla grande  scrivania: era ricoperto di etichette col prezzo, di quelle che si mettono sulle scatole dei sandali. Rimanemmo senza parole, pensammo a uno scherzo, poi il fatto (userò delle cifre indicative): la ditta ucraina vendeva i saldali alla ditta di Virginio per 2 marchi il paio, dall’Italia erano rifatturati a 3 marchi alla ditta tedesca, la ditta Italiana sopportava i costi di vendita e tutta la preparazione delle attrezzature oltre a un margine operativo, il cliente tedesco ci aveva fatto mettere sulle scatole un prezzo di 11.99 marchi, con l’intento evidente  di metterle in vendita a prezzo dimezzato da li a poco. In ogni caso a noi questo non interessava, era un problema del cliente, ma questo era incomprensibile per Ivan perché nel sistema sovietico erano le fabbriche a determinare il prezzo di vendita al pubblico,  alla distribuzione veniva riconosciuto un margine del 10% in quanto nella logica comunista la parte commerciale non rappresentava un soggetto economicamente rilevante. Per Ivan quindi noi lo stavamo derubando approfittando della sua buona fede. Da questo la sceneggiata per farci capire che “qui nessuno è fesso”. Naturalmente abbiamo cercato di spiegargli le strategie dei supermercati, e che in ogni caso quello che faceva il cliente con i nostri sandali non era un nostro problema. Non voleva sentire ragioni, non riusciva a concepire un mondo nel quale il commercio imponeva i prezzi delle merci. In ogni caso questo incidente incrinò in modo irreversibile i nostri rapporti con Ivan, cominciò a boicottarci, alla fine dovemmo liquidarlo (in  senso economico si intende). Malgrado le difficoltà  la ditta crebbe rapidamente, oggi (prima della guerra) dava lavoro a più di 1000 persone.

Negli anni successivi i nuovi  governi introdussero  norme per cercare di allineare la legislazione ucraina alle necessità di una società “democratica” e  inserita in una economia di mercato. Purtroppo lo fecero senza preoccuparsi di cancellare le normative sovietiche, o lo fecero solo in parte, il risultato fu che non vi era certezza sia del diritto che della normativa e come sempre accade in queste situazioni (anche in Italia ne sappiamo qualcosa) i burocrati diventano i santoni che  divinano su cosa è giusto e cosa è sbagliato. Chiaramente tutto questo aveva un costo e così cominciò a crescere la corruzione.

L’amico Marco mi aveva raggiunto in Ucraina con Antonella, e con mia moglie organizzammo dei programmi di visita del  paese  nella regione dell’ovest, principalmente in Galizia, decidemmo anche di attraversare i Carpazi per visitare la città di Uzzhorod in Transcarpazia.

Era una bella giornata di settembre, la vegetazione era ancora verdeggiante ma qua e la si vedevano macchie di giallo e di rosso sotto di noi nella valle il fiume Stryi che scorreva tumultuosamente tra larghe anse. Stavamo ancora salendo, la strada era larga e per essere in Ucraina le buche abbastanza rade, viaggiavamo a velocità contenuta per poter apprezzare il panorama, quando subito dopo una curva, sopra a un trespolo, vediamo un cartello rotondo con fondo bianco e scritto in nero 20. Poche decine di metri più avanti i “proprietari” del cartello, una macchina di “daì”, la polizia stradale ucraina.

Dalla macchina scende un poliziotto giovane che mi fa segno di fermarmi, i miei ospiti sono sorpresi, non riescono a capire cosa ci facesse un cartello con un limite di velocità così basso dietro un curva dove non vi era alcun impedimento… Io preparo la patente internazionale e tra i fogli metto 50 grivne (al tempo circa 8 dollari), a questo punto nella macchina si alza un coro di disappunto “cosa fai!!!vuoi farci andare in prigione!!! metti via i soldi!!!”) io prendo anche il libretto e mi appresto a ricevere l’ospite. Il poliziotto accenna a un saluto toccandosi il berretto e mi dice di seguirlo nella loro macchina. Conosco la procedura, ti fanno sedere, poi cominciano a torchiarti per spremere il massimo possibile… naturalmente è tutto illegale. Rispondo che sto bene dove sto, non intendo muovermi, lui mi vede deciso e cambia discorso facendo riferimento al cartello con il limite di velocità che io non avevo rispettato, non dico niente e gli do patente e libretto, lui rimane un momento perplesso guardando la mia patente internazionale poi intravede le 50 grivne e trattenendo i documenti ritorna alla macchina dove stava seduto il compare, probabilmente il capo pattuglia. Confabulano, poi il poliziotto torna e comincia una tiritera sul fatto che la mia era un’infrazione molto grave per la quale era previsto il ritiro della patente, mi sciorina la filastrocca e intanto picchietta patente e libretto sul pollice per farmi capire che se non ci mettevamo d‘accordo non me li avrebbe ridati. Nel frattempo i miei ospiti cominciano a preoccuparsi e a chiedere spiegazioni … “tranquilli conosco i miei polli… non sarà questo sbarbatello che ci rovina la giornata”, poi mi giro verso il poliziotto gli sfilo  i miei documenti e con tono deciso gli dico che non gli darò un copeco (un centesimo di grivna) di più e di vergognarsi di far fare una simile figura al suo Paese di fronte a degli stranieri, non sto ad aspettare quello che dice, accendo il motore e parto. Essere “autorevoli” era l’unico modo per togliersi di dosso quelle sanguisughe.

La corruzione in Ucraina non era il fatto isolato di due poliziotti disonesti, era un sistema su base nazionale che riguardava qualsiasi attività dello Stato. I due poliziotti che ci avevano fermato erano passati al mattino al comando della polizia locale e lì avevano ricevuto in dotazione il segnale stradale: l’uso del cartello corrispondeva a una certa cifra che loro dovevano riportare al comandante la sera stessa, trattenendo l’eventuale “plusvalenza”. Il comandante  dopo aver trattenuto la sua” plusvalenza”, una  volta alla  settimana avrebbe  portato l’’incasso al comando provinciale che a sua volta dopo aver trattenuto la sua “plusvalenza” lo avrebbe portato in regione che dopo il solito prelievo portava il malloppo a Kiev. Potete immaginare il fiume di denaro in contante che arrivava al comando generale a Kiev con  l’incasso di migliaia di autopattuglie da tutto il Paese.

Il sistema era ancora più complicato in quanto ognuno dei personaggi coinvolti aveva comprato il proprio posto di lavoro. L’impiego da poliziotto poteva costare 10.000 dollari, considerando che la paga mensile si aggirava intorno ai 200 dollari, è chiaro che per potere ripagare i debiti fatti per comprare il posto di lavoro bisognava avere entrate eccedenti a quelle della paga. Questo sistema valeva per tutte gli impieghi statali: naturalmente i posti che promettevano redditi più alti costavano di più. Diventare capo di una dogana provinciale di medie dimensioni poteva costare 100.000 dollari, un mio cliente che forniva vestiario all’esercito mi disse che per assicurare il suo business (alquanto lucroso) avrebbe dovuto diventare generale con un costo che variava tra i 500.000 e  1.000.000 di dollari.  Tutto il sistema statale funzionava secondo questa logica: tribunali, ospedali, scuole… tutto. Il più delle volte pagavi perché non ti danneggiassero, altre volte perché ti conveniva.

In questi giorni di guerra gli ucraini lamentano la mancanza di munizioni. Ricordo almeno tre gigantesche esplosioni di depositi di armi in Ucraina. Ve ne erano parecchi lasciati dai sovietici. L’Ucraina era una regione di frontiera per l’URSS e quindi attrezzata con  grandi arsenali di armamenti, a parte gli SS18 e SS20… Le esplosioni dei depositi avvenivano quando ormai  erano svuotati di gran parte del contenuto e bisognava azzerare la posizione “contabile” nel caso arrivasse qualche ispezione. Questi depositi rifornirono per anni il traffico illegale in giro per il mondo.

Per quello che riguarda i “daì”  il sistema divenne grottesco, vi fu un periodo in cui i poliziotti per non pagare la tangente al capo cominciarono a fare pattuglie fuori orario con le loro macchine private… A Morgen dove abitavo c’era un poliziotto che aveva la casa lungo la strada provinciale e scendeva a dare le multe in pantofole aspettando che la moglie lo chiamasse per il pranzo. Questa situazione era diventata  intollerabile: i “Dai” furono progressivamente tolti dalle strade fino, in anni recenti, ad azzerare il fenomeno.

La corruzione è un tumore che si mangia il Paese, anche nel settore privato è una lotta continua per evitare che all’interno delle aziende il sistema corruttivo non si sostituisse a quello imprenditoriale. Il danno che produce all’economia ucraina questo stato di cose è incalcolabile, da una parte lo Stato non incassa perché i burocrati lo sostituiscono, dall’altra molte imprese chiudono soffocate dalla burocrazia.

Il primo, e forse l’ultimo, serio tentativo di porvi rimedio lo fece Yushenko, il presidente “arancione” (2005-2009), ex  governatore della banca centrale ucraina: aveva capito che era indispensabile una totale revisione del sistema giuridico ucraino, in tal senso, durante la nefasta visita alla NATO a Bruxelles, aveva dichiarato che li aspettava un lavoro ciclopico e che dovevano cambiare più di 10.000 tra  leggi e norme. Nei primi sei mesi della presidenza di Jushenko si ebbe la sensazione che si stava tracciando un percorso nuovo verso la modernizzazione dello Stato, la corruzione ebbe una battuta di arresto, e nel Paese l’ottimismo prese il posto della nefasta battuta “cosa vuoi farci siamo in Ucraina”, poi arrivò la Yulia Tymošenko, come primo ministro e le cose tornarono come prima e anche peggio.

Mi stavo recando a Ivano-Frankivs’k, la capitale della regione,  era una bella giornata di settembre e da Bolehiv dove si trova la ditta che dirigo sono circa 80 km. La strada è dritta e attraversa pochi paesi ma a tratti si procede serpeggiando tra le buche che in alcune zone sono più dell’asfalto, il che rende il viaggio stressante, ci possono volere quasi due ore. Per questo motivo evito di spostarmi, ma ho già procrastinato più del dovuto l’incontro con gli avvocati, il precedente li avevo “obbligati” a venire da me ma questa volta era il mio turno. Circa a metà del viaggio la strada fa un largo giro superando la città di Kalush, centro famoso per ospitare un grande impianto chimico costruito in era sovietica per sfruttare il metano che si trova nel sottosuolo e produrre chimica di base. Andando al lavoro ogni mattina tra Morsyn dove abito e Bolehiv attraverso un passaggio a livello, la ferrovia che passa ha lo scopo principale di connettere i treni carichi di prodotti chimici dallo stabilimento di Kalush alla rete ferroviaria nazionale: quando il passaggio a livello è abbassato il casellante sta fermo con la bandiera gialla a “salutare” il treno finché passa l’ultimo vagone. In Ucraina ci sono ancora i casellanti e fa impressione d’inverno con 20 gradi sotto zero, quando il treno solleva una nuvola di neve e il casellante diventa una specie di statua di giaccio da cui si distingue solo la bandierina gialla. Non riesco a trattenermi dal contare i vagoni, sono tutte cisterne prevalentemente bianche su cui risaltano teschi neri, dopo un po’ rimango come ipnotizzato e non conto più, guardo passivamente passare questa incredibile quantità di cisterne, credo che i treni “sovietici” siano i più lunghi del mondo.

Un frastuono di elicottero mi risveglia dai miei pensieri, passa sopra la mia auto e punta verso il centro città, appena lascio la circonvallazione una fila di gipponi neri a sirene spiegate provenienti da IvanoFrankivs’k e diretti a Kalush mi sfila davanti, caspita!! Sta succedendo qualcosa di grosso, e infatti quel giorno si stava scrivendo il destino dell’Ucraina, ma per capire i fatti bisogna fare un passo indietro.

Victor Yanukovich è al momento dei fatti  presidente ucraino, dopo un’ infanzia difficile e una gioventù da teppista con due condanne (violenza e furto) nella maturità lavora nei trasporti, e fa una discreta carriera nel partito comunista nella regione di Donetsk. All’indipendenza ucraina la sua carriera è sempre in ascesa fino a diventare governatore della regione, più volte primo ministro, è il leader del “partito delle regioni”, nel 2004 tenta di diventare presidente, vince ma il risultato elettorale viene contestato dagli “arancioni” di Juscenko e dopo un nuovo turno elettorale viene sconfitto. Malgrado questo è di nuovo primo ministro in un governo di intesa nazionale, nel 2010 ci riprova e vince diventando presidente e coronando così la sua carriera politica col massimo dei successi. 

Yanukovich, come tutti i capi politici dell’Eurasia (e forse non solo) ha come occupazione primaria quella di arricchirsi e possibilmente creare una stabile ricchezza per la sua dinastia.  Organizza tramite il figlio Olekandr la società MAKO, detta anche la”famiglia”, nata con lo scopo di rilanciare aziende decotte, per implementare la crescita economica del paese, in realtà sfilando ai legittimi proprietari aziende fiorenti per incrementare il loro portafoglio. Oleksandr è anche uno sportivo appassionato di calcio: un mio conoscente ha pagato 10.000 dollari per avere un posto allo stadio limitrofo a quello di Oleksandr che in questo modo era anche uno degli “sportivi” più pagati in Ucraina.

Personalmente non credo a tutte le fantastiche ricchezze che gli sono state attribuite dopo la sua dipartita dall’Ucraina, chiaramente non è fuggito “povero” ma le famose rubinetterie d’oro della villa erano solo placcate e la favolosa collezione di auto era un ammasso di ferri vecchi sovietici. Era andato a un passo dal raggiungere l’obiettivo di una vera ricchezza da tramandare per generazioni, ma la sua rozzezza politica lo tradirà.

A Odessa esiste un grande raffineria costruita dai sovietici e in seguito aggiornata dalla russa Lukoil, che la teneva inattiva, in attesa degli sviluppi sui giacimenti petroliferi nel mar Nero. I giacimenti erano stati scoperti da un consorzio anglo americano (Exxon-BP) su un’iniziativa dell’arancione Juscenko. Al momento  il governo filorusso di Kiev stava valutando il da fare, gli americani pressavano Yanukovich su vari fronti tra gli altri quello petrolifero, il presidente usava le attenzioni  americane come leva verso gli amici russi per ottenere vantaggi per il suo paese e per se.

 Nelle varie trattative la raffineria di Odessa stava in cima ai suoi pensieri, poteva essere la  base su cui costruire una “vera” fortuna.  Era evidente che una volta iniziato lo sfruttamento dei giacimenti al largo della Crimea la raffineria avrebbe avuto una posizione monopolistica per la parte del petrolio che sarebbe stata lavorata in luogo. Aveva più volte tentato di ottenere un prezzo “da amici” dai russi per incorporare la raffineria nella MAKO l’impresa di famiglia, ma aveva sempre ricevuto un “niet”.

La Lukoil divide con l’americana Exxon il primato di leader mondiale nel settore del petrolio e gode di una particolare tutela da parte di Vladimir Putin, è quindi certo che le richieste di Yanukovich siano state portate alla sua attenzione, notoriamente il leader del Cremlino non aveva nessuna stima del il suo analogo ucraino, e quindi vista la situazione politica non vi era alcuna ragione di omaggiarlo di un simile “regalo”.

All’inizio del 2013  Yanukovich perse la pazienza e passò al contrattacco, da una parte diede una dura “lezione”  alla Lukoil, e dall’altra fu aiutato dalla Comunità Europea. La Lukoil era la proprietaria dell’impianto chimico di Kalush, con una mossa a sorpresa lo stabilimento fu messo sotto sopra dalla guardia di finanza il direttore arrestato e la produzione fermata. Era una operazione standard quando la MAKO o qualche altro oligarca voleva eliminare un concorrente o appropriarsi a un prezzo vantaggioso un’impresa altrui. La legge nell’amministrazione pubblica la faceva chi comandava e tutto si muoveva di conseguenza giudici, guardia di finanza, polizia. Naturalmente la cittadina di Kalush piombò nel panico, l’azienda occupava migliaia di persone e aveva un vastissimo indotto, la chiusura voleva dire portare la città alla “fame”. Al nostro presidente la cosa non interessava, aveva deciso di scuotere l’albero e alla fine doveva cedere la “raffineria”. La chiusura dell’impianto era un duro colpo per la Lukoil, da li partiva la chimica di base che alimentava altri suoi stabilimenti, il messaggio era chiarissimo.

Quasi nello stesso tempo la fortuna , si fa per dire , bussa alla porta di Yanukovich. Gli americani, stufi dei tiramolla di Victor, spingono la Lituania, presidente di turno della UE, ad invitare l’Ucraina ad associarsi alla Comunità Europea. Yanukovich prende la palla al balzo, questo si che è un bel osso da lanciare all’Orso di Mosca. Infatti al Cremlino incominciano ad agitarsi,  erano già in corso manovre americane per portare l’Ucraina nella NATO, questa storia della UE andava fermata subito. Era chiaro che il sogno di Yanukovich stava per realizzarsi.

La strada da Kalush e Ivano-Frankivs’k  era più scorrevole del tratto precedente e in una mezzoretta arrivai allo studio legale. Con una tazza di caffè (quella brodaglia che bevono da quelle parti e credono sia caffè) in mano, racconto ad Andrei, il capo dello studio, l’insolito movimento di mezzi visto a Kalush. L’avvocato fa un sorrisino ammiccante, “ hanno firmato” dice, io lo guardo interrogativo, “chi ha firmato???” “la MAKO e la Lukoil”. Continuo a non capire e lui con uno sguardo di sufficienza mi racconta che il loro ufficio di Kiev ha tra i suoi clienti la “Lukoil Ucraina” e da  diversi mesi si stava trattando la cessione della raffineria di Odessa a un consorzio guidato dalla MAKO, e che fuori dall’accordo il governo Ucraino si impegnava a “restituire” la ditta di Kalush alla Lukoil permettendogli di lavorare senza problemi. A Kalush si stavano incontrando Vagit Alekperov,  presidente della Lukoil, e Mykola Azarov primo ministro ucraino, per siglare il simbolico atto di pace tra Lukoil e il governo ucraino. La cessione della raffineria alla MAKO fu poi riferita dai media ucraini come un gesto patriotico di riconquista da parte Ucraina di una importante risorsa industriale.

Da li a poco più di un mese Yanukovich si presentò in televisione e con quell’aria da bulletto di provincia che gli era rimasta appiccicata addosso, in un ucraino alquanto stentato, dichiarò che i Russi davano più soldi e che quindi l’Ucraina rigettava l’invito ad associarsi alla Comunità Europea.

Il 21 novembre diede la risposta ufficiale alla Comunità Europea, i primi di dicembre cominciò l’occupazione di “Maidan” e il 24 febbraio Yanukovich e famiglia lasciavano in sordina l’Ucraina. Chiaramente non poté portare con sé la raffineria.

Poco dopo l’inizio  dell’invasione dell’Ucraina i russi, nello stupore generale, bombardarono la raffineria di Odessa, che nel frattempo era diventata un ammasso di ruggine, probabilmente uno dei tanti segnali trasversali di cui è costellata questa guerra.

All’inizio di febbraio ho soggiornato una settimana in Ucraina, ormai le mie permanenze lì non superano la settimana, la fabbrica è chiusa da settembre e sono rimasti in organico le guardie e qualche responsabile, i miei impegni si limitano a contenere i costi e cercare di vendere l’attività o gli immobili. Dopo trent’anni dalla fine del sistema sovietico vendere una proprietà in Ucraina resta complicatissimo anche perché in molte zone non hanno ancora definito il catasto.

Avevo programmato di ritornare a Bolehov a fine mese o inizio marzo ma la situazione era preoccupante, con il continuo abbaiare di Biden e le intimidazioni di Putin si avvertiva l’incombere della tragedia. Il nervosismo era ovunque, anche a casa mia, dove i familiari escludevano un mio rientro in Ucraina. Poi le cose precipitano, voli per Lviv sospesi, comunico con i miei collaboratori via skype, il 24 febbraio ho il solito contatto con la mia segretaria Liena alle 10 ora Ucraina e la notizia che i russi hanno attaccato è su tutte le agenzie di stampa ma sembra  tutto così irreale, è mai possibile che “l’idiota di Mosca abbia schiacciato il bottone”??

La chiamata è in corso ma nessuno risponde, penso subito a un oscuramento delle comunicazioni effettuato dai russi, poi compare Liena. Ha uno sguardo attonito, non è in ufficio ma a casa,  “perché non sei in ufficio?” lei trattiene le lacrime “l’allarme ha suonato due volte stanotte abbiamo passato la notte nel rifugio”. Io cerco di ridimensionare la situazione: “perché i russi dovrebbero sprecare un missile per bombardare Morshen, una stazione termale?”. Penso di farla parlare per scaricare la tensione chiedendo un resoconto degli eventi: la prima sirena suona alle ore 20, stavano mangiando, mollano tutto e corrono al rifugio, lo scantinato di un grosso immobile poco lontano dal loro stabile, ritornano a casa alle 23 poi alle 2 di notte altro allarme fino alle 4. Penso che abbia bisogno di una scossa per riprendersi dallo stress… E allora le comunico:”bene adesso prendi la macchina e vai in azienda ci risentiamo fra due ore”.

La mia urgenza di avere Liena in azienda era data dalla necessità di parlare al più presto con Igor, il ”capo ingegnere”.  Dopo diversi tentativi via wap non ero riuscito a parlargli e dato l’argomento la linea telefonica non era consigliata, meglio un cifrato. La parola che aveva scatenato la mia apprensione era “rifugio”, nel territorio della ditta c’era un vasto rifugio antiatomico che avrebbe potuto crearci grossi problemi con le Autorità militari. Il territorio della ditta consta di due terreni  di circa cinque ettari ciascuno distanti tra loro 500 metri, si tratta di un terreno pianeggiante e di uno  leggermente collinoso:  scavato sotto la collinetta vi è un rifugio atomico, costruito verso la metà degli anni Settanta per ospitare parte della popolazione di Bolehiv in caso di attacco nucleare: la regione era un obbiettivo sensibile in quanto vi erano  diversi silos per missili a lungo raggio.

Per la normativa sovietica la “manutenzione” del rifugio era a carico della ditta, noi avevamo ereditato questa incombenza malgrado la guerra fredda fosse finita ma in Ucraina la sovietizzatone non finisce mai. La struttura era scavata sotto il terreno della collina, tutta in cemento armato, specialmente rinforzato per lo scopo ed era vasta più di 5.000 mq. Su due piani, divisa in zone secondo le funzioni di impiego,  dormitori, mense, aree di “ricreazione” e una vastissima sala macchine, filtri per l’aria proveniente dall’esterno, aspiratori, generatori, serbatoi di materiali vari cementati sotto il pavimento, oltre a scorte alimentari. Naturalmente che tutto quello funzionasse era una finzione ma periodicamente avvenivano delle ispezioni con conseguenti multe per la ditta e per me provvedimenti disciplinari, oltre a dover mantenere tutta la commissione per una settimana e oliare le loro profonde tasche.

 Ero riuscito dopo 3 anni di battaglie legali, viaggi a Kiev per incontri con ufficiali di alto livello, a far derubricare il rifugio dagli obbiettivi militari. Ho murato tutto, dopo aver ricuperato un po’di rottami e due generatori che la ditta possiede tuttora. La mia preoccupazione era che da qualche parte un ufficiale in cerca di affari venisse a rivendicare il rifugio e quindi a metterci in mora, fatto che vista la situazione di chiusura della ditta sarebbe stato un disastro.

Due ore dopo la nuova conferenza che si svolgeva nel mio ufficio,  Liena e Igor ai due lati del tavolo da riunioni, lo schermo con la mia faccia sulla mia scrivania, era come essere lì. Igor è tranquillo, gli allarmi li aveva passati a letto, erano esercitazioni dice a Bolehiv ne aveva già fatte due, poi è convinto che si siano già messi d’accordo al vertice. Secondo lui si trattava solo di una questione tra  oligarchi russi e ucraini, beh quanto si sbagliava… Per il rifugio nucleare mi tranquillizza perché aveva visto con i suoi occhi il documento di derubricazione dalla regione militare di Dolina da cui dipendiamo, per il resto ordinaria amministrazione…..

Tengo i contatti con la ditta come sempre grazie a Liena che chiama da casa sua, preferisce non muoversi da Morsgen: lungo il percorso per Bolehiv  ci sono posti di blocco dove ispezionano minuziosamente le automobili, gli ispettori sono in abiti civili e sono armati e creano in Liena molta ansia.  Capita che anche la notte “ispettori” vengano a bussare alla porta di casa pretendendo di entrare per controllare chi ci vive, anche loro in borghese ma armati, Liena comincia ad essere sempre più preoccupata.

Organizziamo una riunione via Skype dall’ufficio del sindaco di Bolehiv che mi dice che la regione chiede alle aziende la produzione di strutture metalliche anticarro. La nostra azienda è l’unica della regione attrezzata per una produzione del genere e do il mio consenso a Igor che è lì presente per organizzare la cosa, abbiamo anche qualche tonnellata di ferro e acciaio derivata dalle demolizione di alcuni reparti e decido di metterla a diposizione per le costruzioni che ci vengono richieste… In realtà speravo di farci qualche migliaio di dollari vendendo il ferro ma vista la situazione credo di aver fatto la cosa giusta. Qualche giorno dopo ho visto via Skype le famose difese anticarro, forse se vendevo il ferro facevo meglio…

Intanto continuano i contatti con gli amici sparsi sul territorio ucraino: Sasha a Karkov,  Alex a Vornesiensk nel sud del paese vicino a Nikolaiev, Roman a Sinferopoli in Crimea e Oleg a Vassikov (nei pressi di Kiev e sede di un importante aeroporto militare). Col passare del tempo la guerra raggiunge tutta la parte sud orientale dell’Ucraina. Roman col suo solito sarcasmo “a Putin è riuscito il miracolo di creare il popolo ucraino”. Sasha fa partire le donne e i nipoti della famiglia da Karkiv ormai bombardata quotidianamente, lo aiuto a trovare un’abitazione a Morsgen, Alex è vicino alla linea del fronte, la battaglia per  Nikolaiev è decisiva per il controllo del sud del paese, anche Vorniziensk è bombardata, Oleg mi manda un filmato di Vassilkov in fiamme dopo il bombardamento, la tragedia della guerra li opprime e opprime anche me.

Alla fine Liena decide di andare in Polonia, a Morshen non si combatte ma si respira una soffocante situazione di controlli spesso effettuati da miliziani in abiti civili… Poi l’opportunità di espatriare senza problemi di visti, l’avventura di viaggiare, lei è ancora giovane con i suoi quarant’anni ben portati, lascia a Morshen Rostik, il marito, lui non può espatriare essendo nell’età di leva 16/60 anni. Io  trovo a Liena una sistemazione di lavoro e alloggio presso amici che hanno fabbriche in Polonia, ma arrivata a Varsavia preferisce fermarsi e organizzarsi in modo autonomo la nuova vita, penso che Rostik debba trovarsi una nuova compagna…

Poi ho smesso di parlare con gli amici ucraini, ho dato la dimissioni da direttore della ditta. Tutta questa vicenda ha cominciato a nausearmi, le falsità del racconto costruito dagli americani per gli europei, l’impotenza dei nostri governi, l’inutile disastro dell’Ucraina a cui seguirà una inevitabile crisi europea che potrebbe scuotere alle radici tutto quello che è stato costruito dal dopoguerra a oggi, tutto ciò per salvaguardare l’idea degli Stati Uniti come paese egemone, idea messa in discussione da Putin con quel suo macabro sorrisetto e sul tavolo il revolver con un colpo in canna per decidere chi sopravvivrà con una lugubre scommessa alla roulette russa. Intanto agli ucraini spara con missili e cannoni, e noi li armiamo, facendoli massacrare,  per  una impossibile vittoria.

E’ uno spettacolo insopportabile per il mio stomaco.

Le due precedenti “stagioni” di questo racconto sono state pubblicate sul sito di Volere la luna:

il 5 maggio col titolo Il tradimento. L’America e noi

Il 25 maggio col titolo Il tradimento (seconda stagione) – Verso la guerra

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Imprenditore e manager lombardo, libero pensatore e "globe trotter della produzione" manifatturiera. Ha fatto fabbriche in tutto il mondo, Russia, Ukraina, Africa, Stati Uniti. E' coautore (con Marco Revelli) de La fiera dell'est (Feltrinelli 1993). Attualmente gestisce un'impresa in Ukraina.

Guarda gli altri post di: Galliano Rotelli

Questi racconti sbaragliano il campo di qualsiasi narrazione, perchè non fanno discendere la rilevanza dei fatti dalle opinioni poste sull’altare. La disperazione viene però comunque, perchè nel rumore di fondo siamo sommersi da fiction che fanno diventare cemento il sangue che scorre. Eppure quella fiction va studiata. Perchè ci viviamo dentro. E perchè anche da lì traiamo semi di verità molto migliori rispetto alla nostra “stampa autorevole”. In Ucraina se ne sono accorti, confezionando un prodotto paragrillino più efficace e intelligente del nostro. Non ce ne accorgeremo mai anche noi, per esempio, finchè liquideremo la fiction televisiva scritta e interpretata da Zelensky come pura propaganda. Anche solo dal punto di vista artistico, il minimo che si possa dire è che non ha nulla da invidiare alle fiction italiche britanniche francesi tedesche o americane. Dal punto di vista del racconto della realtà, basterebbe guardare quella serie tv dopo aver letto queste righe di Rotelli. C’è semmai da disperarsi, che gli altri “racconti” fossero sempre forzature giornalistiche mirate in primo luogo a propalare un pregiudizio. Non basta dire un fatto vero (se va bene…) per trasmettere la verità. Occorre fornire il quadro, non un frame per ingabbiare le opinioni. A Rotelli credo sia riuscito in pieno. Grazie.

la ringrazio per il commento, personalmente credo che da anni viviamo in un “racconto” confezionato da gruppi di interesse che dispongono di mezzi e tecnologia per convincercì dell a bontà dei loro intendimenti, come per questa guerra (sembra che qualcuno non voglia capire la musica i tre “Re Magi” a Kiev nel treno blindato bè…… da sbellicarsi dalle risa). Questa narrazione globale è iniziata negli anni novanta con la fine della guerra fredda e l’arrivo di internet , la guerra in Ucraina ha spezzato questo sistema.Stiamo a vedere come sarà la narrazione futura.

Questo trittico dal mio punto di vista è stato un crescendo, per una ragione molto semplice: la concretezza. Non c’è traccia in questo scritto di una guerra “della democrazia contro la dittatura” di cui sono pieni i giornali, non c’è spazio per categorie generiche e astratte. E non c’è traccia della pedante saccenteria degli esperti che dell’Ucraina conoscono solo una mappa. C’è invece il racconto di un vissuto, di un paese visto da vicino, che probabilmente si è anche amato. C’è uno spaccato che racconta come si è arrivati a questo punto. Che non può spiegare tutto – né pretende di farlo – ma aiuta molto a capire. E in qualche modo a sentirsi meno distanti. Perché la stanchezza e il cinismo cominciano a prevalere persino sulla pietà.

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