Quale delle tue abitudini è quella più dannosa per l’ambiente? - Tiscali Ambiente

2022-09-17 12:30:06 By : Ms. Carly Cai

La nostra giornata è scandita da piccole e grandi abitudini, rassicuranti comportamenti che ormai compiamo in modo automatico, senza troppo pensarci. E se vi dicessi che una buona parte di queste routine è in realtà dannosa per l’ambiente? Proprio così: ci sono delle azioni quotidiane che, per quanto ci possano apparire innocue, in realtà comportano lo spreco di grandi risorse naturali o, ancora, producono rifiuti inquinanti. Ma quale abitudine è più dannosa per l’ambiente?Stilare una classifica non è di certo semplice, anche perché abitudini e comportamenti variano da persona a persona. Nonostante questo, ho deciso di indagare quali siano le routine quotidiane che risultano più pericolose per l’ambiente, anche quando non ce ne accorgiamo. E in questo frangente non parlerò di comportamenti dannosi già noti a tutti – come gettare mozziconi e chewing-gum a terra, non fare la raccolta differenziata o abbandonare rifiuti nell’ambiente – bensì di abitudini di cui è difficile rendersi conto del loro impatto ambientale.

Avreste mai detto che lavare il bucato o i piatti a mano potesse essere un’abitudine decisamente dannosa per l’ambiente, più di ricorrere alla lavatrice e alla lavastoviglie? Per quanto nell’immaginario comune far le pulizie a mano rimandi alla tradizione e all’assenza di sprechi, in realtà in questo caso è la tecnologia ad avere la meglio.Prendiamo, ad esempio, il rito quotidiano del bucato. Lavare i panni a mano richiede all’incirca 90 litri d’acqua, tra detersione e risciacquo. Un ciclo di media durata in lavatrice, invece, ne richiede “solo” 40/50. Certo, si potrebbe obiettare che l’elettrodomestico non consuma solo acqua, ma anche energia per il suo funzionamento. Tuttavia, a meno che non si lavi tutto a freddo, vi è un consumo energetico anche utilizzando acqua calda per lavare a mano. E, in ogni caso, a questo problema si può ovviare con l’autoproduzione di energia – per chi può approfittare di un impianto fotovoltaico – oppure scegliendo fornitori che si avvalgono di fonti al 100% rinnovabili.Discorso del tutto analogo per la lavastoviglie: lavare i piatti a mano richiede fino a 50/60 litri d’acqua, usare la lavastoviglie dai 7 ai 15. Questo perché l’elettrodomestico raccoglie l’acqua già utilizzata in un’apposita vaschetta e, dopo averla filtrata, la rimette in circolo. Anche in questo caso vi è un consumo energetico ma, come ho già sottolineato, vi si può ovviare con una fornitura elettrica da fonti rinnovabili oppure con l’autoproduzione.

Quale rito accomuna tutti gli italiani, se non una buona tazza di caffè? Questa bevanda è da tempi immemori nella cultura alimentare dello Stivale e farne a meno è davvero impossibile. Eppure, non è così innocua come sembra. Secondo un report del WWF, la produzione di caffè rappresenta una delle principali cause di deforestazione in Sudamerica, dopo la produzione di legno e il disboscamento per far spazio agli allevamenti. La domanda di questa bevanda triplicherà entro il 2050 e il 60% delle aree già individuate per una futura coltivazione del caffè sono attualmente ricoperte da foreste. Ma che fare, per non rinunciare al nostro espresso quotidiano? Scegliamo sempre produttori più sostenibili, certificati, soprattutto del commercio equo-solidale: ci accerteremo, così facendo, che la nostra passione per il caffè non stia andando a detrimento del Pianeta e dei diritti dei lavoratori.E per le capsule? Sono diventate da qualche anno diffusissime, un po’ per moda e un po’ per la loro comodità. Tuttavia, si rivelano molto preoccupanti a livello ambientale: Il Salvagente rivela come siano responsabili nel mondo di 120.000 tonnellate di rifiuti – perlopiù plastica – di cui 70.000 soltanto in Europa. Molti produttori si sono quindi organizzati per ridurre la plastica e passare all’alluminio, un materiale completamente riciclabile, tuttavia è meglio affidarsi ad altre soluzioni. Quali? Le capsule vegetali e compostabili: si buttano nell’umido, dove si decompongono, e generano compost. Ma soprattutto tornare alla vecchia e cara moka!

Acquistare prodotti online è ormai una routine consolidata nella vita di molti: ampia possibilità di scelta, prezzi spesso vantaggiosi e la comodità di vedersi recapitare gli acquisti direttamente sull’uscio di casa. Ma quanto pesa sull’ambiente?Il primo problema è quello del trasporto: mettere in movimento una mole così elevata di prodotti, che spesso transitano da un Paese all’altro, contribuisce in modo importante all’emissione di gas serra. Secondo uno studio di WeForum, entro il 2030 la presenza su strada di corrieri per il trasporto di merci acquistate online aumenterà del 30%, per un totale di 6 milioni di tonnellate di CO2 in più in atmosfera. Stando invece a uno studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, tutto dipende dalla distanza: entro i 15 chilometri dal magazzino, inquina meno farsi recapitare i prodotti a casa, dopo questa soglia diventa più vantaggioso che il cliente si rechi direttamente in negozio. A questo si aggiunge il problema del packaging: tra scatole, sacchetti, polistirolo e involucri aggiuntivi che l’acquisto online comporta.Ma cosa possiamo fare per non rinunciare completamente allo shopping online? Scegliere negozi con magazzini vicini, evitare di farsi recapitare prodotti dall’estero e prediligere store che ricorrono a packaging più sostenibile e, ancora, che abbiano avviato piani di compensazione della CO2 per le loro attività.

Cosa c’è di più romantico di passare una fredda giornata invernale davanti al fuoco del caminetto? E non vi sono motivazioni legate unicamente all’immaginario comune: con la crisi energetica che stiamo vivendo, e i costi del gas sempre più alle stelle, non sono pochi coloro che stanno pensando di installare una stufa a legna per le loro necessità invernali. Ma non tutti sanno che bruciare legna è una delle fonti di riscaldamento più idannose per la salute.Di primo acchito si potrebbe pensare che la questione maggiore sia relativa al disboscamento, in realtà questo è un problema relativo. La maggior parte del legname oggi venduto per camini e stufe proviene da scarti di produzione dell’industria dei mobili. E si usano moltissimi derivati, sempre prodotti da scarti, come ad esempio il pellet. Inoltre, se si acquista legno locale, questo proviene dalla pulitura di boschi o silvicultura, quindi non è un grosso problema.La combustione di legname è però una delle principali cause della produzione di particolato, soprattutto PM 10 e PM 2.5, dannoso per l’ambiente quanto soprattutto per la salute di uomini e animali. Se ne rilasciano in atmosfera anche livelli di 100 volte più alti rispetto all’uso del gas, per le stesse necessità di riscaldamento. E sono tantissime le patologie collegate a esposizione al particolato: tosse cronica, diminuzione della capacità polmonare, asma, problematiche vascolari, danno cardiaci e molto altro ancora. Certo, a livello climatico l’impatto a minore: con un processo continuo di sostituzione, l’albero tagliato emetterà la CO2 che ha assorbito durante la sua vita e quello messo a dimora al suo posto compenserà questo impatto, assorbendo nuova CO2. Ma si tratta comunque di una questione da non sottovalutare.

È però il fronte dell’igiene personale quello che determina, anche involontariamente, il maggior numero di errori in ottica ambientale. Proprio così: il bagno è la stanza della casa dove avvengono i maggiori sprechi e dove si inquina di più.Innanzitutto, vi è il tema dello spreco d’acqua. Lasciare aperti i rubinetti quando si lavano i denti, oppure ci si insapona sotto la doccia, può portare anche a sprecare 50-100 litri d’acqua. O, ancora, utilizzare i vecchi sciacquoni a scarico singolo comporta l’uso di 15 litri d’acqua a ogni azionamento, contro i 6 delle più moderne versioni a doppio carico.Ma quello dello spreco idrico è solo uno dei tanti fattori che entrano in gioco. Fra le abitudini più dannose, vi sono:

Un commento aggiuntivo, poi, è necessario sull’uso di assorbenti igienici e pannolini per bambini. Sono davvero difficili da recuperare e riciclare: oggi rappresentano oltre il 20% dei rifiuti presenti in discarica, basti pensare che per ogni singolo bambino se ne usa una tonnellata l’anno. Eppure, non tutti se la sentono di scegliere i pannolini lavabili oppure la coppetta mestruale, che fare? Sul mercato sono di recente apparsi prodotti per bambini usa e getta più sostenibili, ad esempio in assorbente fibra di bambù anziché in plastica, così come anche in bioplastiche compostabili. Prodotti ancora abbastanza rari e costosi, che si spera diventino più accessibili a tutti.

Le cattive abitudini si manifestano anche a tavola. E non solo perché spesso si segue una dieta poco salutare, ma anche e soprattutto perché si danneggia l’ambiente. Ad esempio, sapete che quasi l’80% di tutti i rifiuti in plastica prodotti in casa derivano dal packaging di alimenti?Proprio così: oggi non esiste prodotto che non sia avvolto almeno in due o tre strati di plastica e, naturalmente, vi è poi il problema di bottiglie e bottigliette. La situazione è talmente fuori controllo che anche produttori che hanno sempre fatto ricorso al vetro, oggi scelgono la plastica. Un caso da manuale? I produttori di aceto: fino a pochi anni fa era impensabile acquistare l’aceto se non in ecologiche bottiglie di vetro, oggi bisogna cercarle al supermercato tra scaffali pieni di alternative in plastica. A questi rifiuti poi si aggiungano cannucce, bicchieri e stoviglie monouso, piatti e tanto altro ancora.

Per ridurre il nostro impatto ambientale, cerchiamo allora di acquistare quanti più prodotti sfusi possibile. Ancora, evitiamo i cibi già pronti o da scaldare, solitamente venduti in scatole di plastica, e se acquistiamo alimenti da asporto accertiamoci che siano preparati in almeno in confezioni di cartone o, meglio, compostabili.Non è però tutto: seguiamo anche la stagionalità degli alimenti. Scegliere un alimento fuori stagione, o addirittura esotico, significa approfittare di un prodotto partito dall’altra parte del mondo per raggiungere le nostre tavole. Con tutto quello che ne consegue in termini di CO2 emessa e di consumo di combustibili fossili.

Gran parte dei nostri elettrodomestici rimangono collegati alla rete elettrica 24 ore su 24. A volte è una necessità, come nel caso di frigorifero e freezer, altre di una pessima abitudine: quella dello stand-by. Quella lucina rossa del televisore, che all’apparenza può sembrare innocua, in realtà ha un grande impatto sul consumo di energia: secondo una ricerca condotta da EON su 1300 utente domestiche, gli italiani consumano circa 2.400 kWh l’anno, di cui 600 proprio per dispositivi sempre accesi o lasciati in stand-by.Purtroppo, il consumo è diventato addirittura più subdolo. A seguito delle polemiche, molti produttori di elettrodomestici, come appunto i televisori, negli ultimi anni hanno deciso di rimuovere i led di stand-by. Ma non pensiamo che, una volta spenti con il telecomando, questi prodotti non stiano consumando pur in assenza di una lucina di segnalazione. Non vi è mai capitato di notare che, all’accensione con il telecomando, il televisore di ultima generazione torna automaticamente all’ultima azione compiuta prima dello spegnimento? Per far questo, quando “spento” il televisore continua a consumare una piccola quantità di energia, proprio per mantenere in memoria l’ultimo utilizzo. D’altronde, in caso di black out o di rimozione della spina, l’apparecchio non torna automaticamente all’ultimo menu visitato ma si riavvia, ricaricando il sistema operativo da zero. Lo stesso vale per lavatrici, forni a microonde e molto altro ancora: l’assenza di un led o di display accesi non significa che l’elettrodomestico non stia comunque consumando, anche quando non in uso.

Sembra che una delle più diffuse cattive abitudini degli italiani sia utilizzare l’auto anche quando non strettamente necessario. È vero, non tutte le località italiane possono approfittare di un sistema capillare ed efficiente di trasporto pubblico, ma spesso ci si mette al volante anche per tragitti che non richiederebbero più di una decina di minuti di passeggiata a piedi.E pensare che, se si scegliesse sempre la bicicletta per tragitti inferiori ai 5 chilometri, si potrebbe ridurre anche del 40% l’inquinamento cittadino dovuto alle automobili. Certo, la situazione delle piste ciclabili in Italia non è delle più rosee e gettarsi nel caotico traffico con una due ruote richiede grande attenzione e nervi saldi, però il cambiamento non può arrivare se mai ci si prova. E per chi proprio non ne vuole sapere di fare troppa fatica, si possono scegliere le biciclette elettriche o, perché no, le auto con stessa tecnologia.

Quanti di noi non hanno resistito alla tentazione di acquistare una t-shirt o un abito nelle catene di moda a buon mercato, magari allettati da un prezzo particolarmente basso? Bisogna però fare attenzione, perché all’abitudine di una moda fast corrisponde anche un’inquinamento altrettanto fast.Innanzitutto, i materiali prescelti sono di bassa qualità e spesso si tratta di fibre sintetiche. E le fibre sintetiche sono causa di produzione di microplastiche: a ogni ciclo di lavatrice, ne vengono rilasciate circa 700.000 unità. Poi, perché si tratta di indumenti prodotti nella gran parte dei casi all’estero, in Paesi in via di sviluppo: oltre ai costi ambientali del trasporto, vi sono anche quelli etici della manodopera a basso costo. Scegliamo quindi sempre fibre naturali, certificate, magari provenienti da produzioni più sostenibili e realizzate in Italia.Insomma, rendersi conto del peso delle nostre abitudini sul Pianeta non è semplice, ma porvi rimedio non richiede troppa fatica: basta prestare più attenzione alla nostra quotidianità!

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