Cena alla Taverna Argo di Chanià sull'isola di Creta

2022-09-03 10:37:49 By : Ms. Sharon Xu

8 Gennaio 2022 Scritto da Marco Grassano

Seconda puntata del reportage di Marco Grassano “Ritorno a Chanià”.

Si avvicina il momento della cena. Le taverne dove avevamo mangiato due anni fa, e le altre di cui avevamo preso nota, sono tutte chiuse. Giro per un po’ tra il porto e il quartiere veneziano, poi mi infilo di nuovo in uno degli angusti vicoletti a ridosso del Bastione Schiavo, la Odòs Skoufon. Ci ero già transitato prima, salutando con un allegro “Kalispera” la matura donna bionda seduta fuori – schiena alla parete – sotto l’insegna biancazzurra Argo Café Tavern.

Il posto è adesso occupato da un signore tracagnotto e calvo, che presumo sia il titolare. Non c’è nessun altro cliente. Osservo il menù annotato col gesso su una piccola lavagna, parallela allo stipite destro della porta di entrata. Mi alletta il riso coi frutti di mare. Gli dico che vorrei far cena. Mi accompagna all’interno, mi controlla il pass (ben visibile, in più punti, l’avviso We serve only Covid Free ) e mi fa accomodare a un tavolo. Mi disinfetto le mani (ogni tavolino dispone del suo erogatore di gel), poi ordino. La donna, di nome Rula, mi porta un cesto col pane e le posate, l’acqua frizzante Samarià in bottiglietta verde, i tovaglioli di carta. Poco dopo, arriva anche il riso: ottimo. La signora mi offre quindi torta all’arancio home made, deliziosa, e un botticino di raki. Il conto, di 13 euro, è onestissimo.

Volendo, si possono anche scegliere bibite, birra o vino sfuso. Come mi spiega il gestore, Ghiorgos Kapetanakis, c’è il tipo di rosso che prediligono i turisti. Ma c’è pure il rosso cretese che bevono i locali, di due varietà: una più robusta, generalmente servita come aperitivo, e una più blanda, per pasteggiare. Gli dico che, in questa e in altre cose, preferisco di norma seguire i gusti e le abitudini degli indigeni.

È un locale in cui tornerò molte volte, durante questa vacanza. Vi gusterò, man mano: moussakà; imam (ossia melanzane a fette, stufate con pomodori, feta e origano); zuppa di verdure e fagioli, servita con sardine fritte, pescate di fresco; pollo in salsa di vino, accompagnato da riso giallo; maiale al limone e pepe con patatine fritte; soutsoukakia (polpettine di carne speziate con origano, timo, rosmarino e ginepro, immerse in sugo di pomodoro soffritto con l’aggiunta di poca cipolla sminuzzata, pure abbinate al riso); zuppa di pesce (non è cucinata come nel Mediterraneo occidentale, ma consiste in un brodo chiaro e denso; il pesce, lesso, è servito in un piatto a parte, accompagnato da patate, carote e zucchine bollite); dolmades (con salsina tsatsiki al centro del piatto) visibilmente fatti in casa, seguiti dalla zuppa di pomodoro, riso e prezzemolo che Alexis Zorbas prepara al “padrone” nel capanno sulla spiaggia… I risultati papillari si mantengono sempre all’altezza delle aspettative, e la spesa non si discosta mai dall’ordine di grandezza iniziale.

Quando, la sera, mangio dentro, la porta rimane aperta, ma mi orientano addosso il soffio d’aria del condizionatore, dopo averne selezionato la temperatura di emissione a 26 gradi. In tutte le visite, malgrado l’autunno avanzatissimo, noto svolazzare alcuni microscopici moscerini.

A pranzo, può capitare che, ai tavoli esterni, vi siano altri, radi avventori: una coppia di argentini di Buenos Aires, ai quali accenno dei parenti di Pehuajó; poi due fratelli bretoni, cui parlo invece del nostro gemellaggio nel Lot-et-Garonne (“C’est joli, là bas…. Mais c’est pas la Crète!” commenta il più giovane dei due).

Di estremo interesse umano è però il ristoratore. Ex marinaio di mercantili e pescherecci, ha appreso frasi in diverse lingue; ora sta imparando il francese, avvalendosi di un manuale per autodidatti che tiene sul tavolo e che ogni tanto apre e consulta. Accanto alla cassa, in due volumi, il Simposio di Platone, nel testo originale assistito dalla versione moderna. Ghiorgos osserva che Platone è un grande, certo, ma che il “suo” filosofo è Aristotele, perché è più razionale… “Più scientifico”, suggerisco io, e lui concorda. A scuola aveva studiato la lingua antica (ha circa 70 anni), ma non la ricorda quasi più. Il suo gatto bianco e rosso, comunque, il greco (quello di oggi…) lo capisce. L’ultima sera, infatti, l’animale si stava allontanando; il padrone gli ha detto qualcosa (una frase dotata di senso compiuto, non un richiamo) e l’animale ha miagolato, si è voltato ed è tornato da lui.

Parliamo dei poeti greci novecenteschi: Ritsos (ho con me Molto tardi nella notte, che sto leggendo, e glielo mostro), Seferis, Elitis. Mi chiede se mi piace Kavafis, Gli rispondo di sì, molto; oltretutto, faccio il suo stesso mestiere (funzionario presso il Servizio Irrigazioni) in una città che si chiama come la sua (spiego il perché, e il taverniere sorride).

Parliamo anche di Kazantzakis. Lui lo ritiene un sommo. Ha letto diversi libri suoi. L’Anaforà ston Greco (“Rapporto a El Greco”, artista anche lui cretese…) è un testo più che altro filosofico; il suo romanzo “veramente isolano” è Il Capitano Michalis. E, ovviamente, Zorba, più complesso di quanto sembri: per capirlo davvero, ha dovuto riprenderlo più volte.

La cucina è situata in fondo. Nella prima stanza, sulle pareti a sinistra dell’ingresso, diverse foto d’epoca, ingrandite. Me ne indica una del 1936, relativa al funerale di Eleftherios Venizelos: il battello che ha recato il feretro dal Pireo sta attraccando di fronte alla Moschea dei Giannizzeri – in quel tempo, ancora fornita di minareto – mentre, sulla banchina, una folla commossa ma composta attende l’illustre e amato defunto.

Gli dico che anche il corpo di Mikis Theodorakis è stato traghettato qui da Atene. E aggiungo che voglio visitare la sua tomba. Lui non c’è ancora stato. Sapendo del mio interesse, di sera in sera, cercandoli su YouTube col computer collegato all’impianto di fonodiffusione, riproduce, a mio beneficio, video musicali del Maestro: l’Àxion estì, le canzoni sentimentali eseguite in concerto da Ghiannis Parios, duetti di Ghiorgos Dalaras, Maria Farandouri…

Ai muri sulla destra dell’entrata, stuoie con rosse decorazioni esotiche. Uno specchio. Piccole icone. Sul tavolino del computer, diversi ritratti di famigliari, di varie età. Notando un uomo molto somigliante a lui, chiedo a Ghiorgos se si tratti di suo padre; mi risponde che è suo fratello. Una confezione di medicinale Paracetamol Forte.

Passeggio ancora un po’, prima di andarmi a coricare. Scatto istantanee a strutture metalliche con cuori, cerchi e quadrati di luminarie, poste ai confini del centro storico: verso ovest, dopo l’ultimo bastione della fortezza; verso est, all’esordio della diga foranea; a sud, tra il termine della Chalidon e l’inizio del giardino coi busti dei patrioti cipigliosi.

Davanti alla Cattedrale, una zucca luminosa montata su una piccola carrozza in ferro battuto, stile Cenerentola. Dentro la fontana, palloncini dall’involucro metallizzato. File di lampadine disposte a tracciare un ghirigoro sulla fortificazione della diga.

Nella piazzetta della Moschea, zeppa di pubblico greco, si sta svolgendo un concerto (o forse una festa): canti di bambini prima, canzoni melodiche di adulti poi, mentre potenti fari colorati sciabolano il cielo. Dalla taverna, avevamo sentito esplodere una gragnuola di botti, come di fuochi artificiali, ma chissà se li hanno sparati qui. La scalea che dal retro del Centro di Architettura Mediterranea conduce su al vicolo Agiou Markou è stata ristrutturata. Affacciandosi dal piazzale del Rosa Nera, si gode appieno la sinfonia visiva delle luci che ricamano l’abitato.

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