Attraverso l'Europa in treno: l'Orient Express

2022-09-10 13:15:39 By : Mr. Jimmy Huang

María Pilar Queralt del Hierro

Il 4 ottobre 1883 la parigina Gare de l’Est fremeva di attesa. Ventiquattro intrepidi viaggiatori si preparavano a salire sul lussuoso treno che alle 19:30 avrebbe iniziato un lungo viaggio alla volta di Istanbul. Nessuno poteva immaginare che il convoglio pronto sulla banchina sarebbe entrato nella leggenda con il suggestivo nome di Orient Express.

L’idea di una linea ferroviaria che collegasse l’Europa da ovest a est era nata dall’iniziativa dell’ingegnere belga Georges Nagelmackers (1845-1905), fondatore nel 1876 della Compagnie Internationale des Wagons-Lits (CIWL). Il suo non fu certo un cammino facile, vista la rivalità tra il progetto di Nagelmackers e quello che aveva messo a punto lo statunitense George Mortimer Pullman. Per progettare il “vagone letto”, o “vagone Pullman”, quest’ultimo si era ispirato alle barche che attraversavano il lago Erie, lungo il quale correva la frontiera tra gli Stati Uniti e il Canada. Tali strutture erano divenute celebri nel 1865, quando avevano permesso di trasportare la salma del presidente Abraham Lincoln da Washington a Springfield, dov’era stato successivamente sepolto.

Dalla sua, Nagelmackers aveva avuto modo di conoscere i vagoni Pullman durante un viaggio negli Stati Uniti e appena tornato nel vecchio continente era riuscito a fondare la Compagnie Internationale des Wagons-Lits. A quei tempi la maggior parte dei Paesi europei era già collegata da una strada ferrata e, sebbene le condizioni di trasporto non fossero ancora troppo confortevoli, la costruzione delle arterie ferroviarie costituiva un affare redditizio per gli investitori, che però erano contrari ad alcune innovazioni. Inoltre il delicato clima politico in cui versava l’Europa non incoraggiava le comunicazioni ferroviarie tra un Paese e l’altro.

L’entusiasmo di Nagelmackers dovette inoltre affrontare la resistenza delle grandi compagnie ferroviarie, nonché diversi eventi, come la Guerra franco-prussiana del 1870. Fu proprio alla fine del conflitto che Georges Nagelmackers ottenne l’appoggio del re Leopoldo II del Belgio. Il sovrano, più finanziere che politico (noto per le atrocità commesse nei confronti della popolazione congolese), seppe intuire le possibilità di guadagno dietro l’idea del connazionale il quale, grazie alla sua mediazione, ottenne i contratti adeguati con le amministrazioni ferroviarie in Francia, Germania e Austria per la creazione di quella che sarebbe divenuta la sua nave ammiraglia.

E così nel 1872 entrò in funzione la rete che avrebbe unito Parigi e Vienna e che, undici anni più tardi, sarebbe arrivata a Istanbul. Per quei tempi, la Compagnie già prestava servizio di ristorazione e alloggio in diversi gruppi ferroviari tramite vagoni letto, vagoni salotto e vagoni ristorante. Dopo la realizzazione dell’Orient Express, l’azienda cambiò il nome in Compagnie Internationale des Wagons-Lits et des Grands Express Européens.

Il viaggio inaugurale avvenne tra grandi fasti e alla presenza delle autorità del mondo politico, diplomatico e finanziario di Parigi. Il treno era costituito da tre vagoni, due vagoni letto e un vagone ristorante, più due vagoni merci per i bagagli. Ognuno di essi misurava 17,5 metri, era costruito in legno di teak, provvisto di riscaldamento a vapore nonché illuminato dalla luce a gas. Vista la difficile situazione dei Balcani, i ventiquattro passeggeri di questo primo convoglio viaggiavano armati di pistole per la difesa personale. Tra di loro c’erano due persone le cui testimonianze si sarebbero rivelate inestimabili per conoscere da vicino il clima che si respirava sul treno appena inaugurato: Edmond About, corrispondente di Le Figaro, e Henri Opper de Blowitz, anch’egli giornalista, in questo caso di The Times. Entrambi hanno lasciato resoconti dettagliati in cui descrivono la magnificenza del mitico treno.

Blowitz scrisse: «Erano stupefacenti l’immacolatezza delle tovaglie e dei tovaglioli; lo scintillio della cristalleria, il rubino del vino rosso, i topazi di quello bianco, la trasparenza cristallina dell’acqua nelle brocche e i tappi argentati delle bottiglie di champagne». Da parte sua, About lasciò da parte il lirismo per paragonare le comodità dello scompartimento che gli era toccato a una garçonnière degna della penna di Guy de Maupassant; al contempo si meravigliava perché «ogni giorno vengono cambiate le lenzuola, raffinatezza sconosciuta persino nelle case più ricche».

Nessuno dei due si sbagliava. L’arredamento dell’Orient Express era raffinato, tipico della sofisticatezza delle Belle Époque, e s’ispirava ai migliori hotel del mondo: i soffitti erano in cuoio lavorato a sbalzo; le lampade provenivano dai laboratori di Émile Gallé, un famoso vetraio del Liberty; le tende erano di velluto, i mobili di mogano, il vasellame d’argento e la rubinetteria di bronzo. Tutti gli scompartimenti avevano un bagno privato e non era strano trovarvi arazzi o vasi, bottiglie e brocche uscite dalle botteghe di René Lalique, uno dei vetrai più famosi del tempo.

Lalique contribuì all’arredamento dell’Orient Express con il progetto e la realizzazione di alcuni pannelli in vetro incorniciati tra legni esotici e decorati con ninfe che danzavano tra le viti, e di altri con motivi floreali su un fondo d’argento, che decoravano le pareti del vagone ristorante.

Uno dei molti punti di forza del treno era la sua eccellente cucina. Il menu non si poteva certo dire economico: la cena costava sei franchi, il pranzo quattro e, per fare un esempio della carta dei vini, metà bottiglia di Moët & Chandon costava ben sette franchi – in quegli anni il salario giornaliero nelle miniere di carbone francesi era di 3,80 franchi. Il menu, in francese e tedesco, proponeva prelibatezze incredibili, come i migliori formaggi francesi, il foie gras, il roastbeef, il caviale e il soufflé flambé.

Il menu della cena inaugurale è indicativo di quanto sarebbe stato servito di solito: ostriche, pasta italiana, rombo in salsa verde, pollo alla cacciatora, lombo di vitello, tartare di cervo, insalata, pudding di cioccolato e dolciumi vari, il tutto innaffiato dai migliori vini di Bordeaux e della Borgogna e dall’inevitabile champagne. Non solo: a mano a mano che il treno procedeva nel suo tragitto, il menu variava in sintonia con la gastronomia della zona attraversata. Fu tale la fama della cucina dell’Orient Express che alcuni viaggiatori presero il treno per poche tappe solo per provarne i piatti prelibati.

Al momento dell’inaugurazione, il treno partiva due volte a settimana dalla Gare de l’Est, allora chiamata Gare de Strasbourg, a Parigi, e terminava la corsa nella città rumena di Giurgiu, passando per Strasburgo, Monaco, Vienna, Budapest e Bucarest. A Giurgiu i passeggeri superavano il Danubio in traghetto fino alla vicina Ruse, in Bulgaria. Da lì un treno li portava a Varn, dove prendevano un altro traghetto fino a Istanbul. Il primo viaggio dell’Orient Express attraverso l’Europa impiegò 81 ore e mezzo e si concluse con una splendida cena a Palazzo Topkapı, organizzata dal sultano Abdul Hamid II. I viaggiatori fecero ritorno a Parigi il 16 ottobre.

Al ritorno a Parigi, Edmond About annotò sulle pagine del suo diario: «Finora, quando si avevano giorni liberi e voglia di viaggiare, si poteva andare a Fontainebleau o nei porti sul canale della Manica. Oggi si può arrivare fino a Istanbul».

Aveva ragione. L’Orient Express fu un’autentica rivoluzione per la vita della classe alta leggermente bohémienne e sofisticata, ovvero dello zoccolo duro di quella che sarebbe stata al centro della Belle Époque.

Quando il primo giugno 1889 l’Orient Express eseguì la prima corsa senza trasbordi, in 67 ore e 35 minuti, al treno si appassionarono grandi personalità dell’epoca e, più in generale, chiunque volesse essere tenuto in considerazione dall’alta società del tempo. A mano a mano il treno divenne molto più di un mezzo di trasporto. Vi si facevano affari, si organizzavano feste, si viaggiava in incognito, si nascondevano amanti clandestini. Si aveva, insomma, l’impressione di vivere in uno degli hotel più glamourosi del momento. A bordo veniva seguito un rigido protocollo circa il modo di vestire e di comportarsi. A cena, per esempio, gli uomini dovevano indossare lo smoking o il frac, e le donne un abito da sera. I viaggiatori, inoltre, avevano a loro disposizione alcuni camerieri e di giorno le cuccette potevano essere trasformate in comodi salotti nei quali ricevere gli altri passeggeri, leggere, giocare a carte o prendere il tè.

Le teste coronate non resistettero al suo fascino. Tra i passeggeri illustri si contano Edoardo VII d’Inghilterra, quando era ancora principe di Galles, e l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria, che più di una volta viaggiò fino ai territori balcanici. Con il passare degli anni, a sovrani e aristocratici si aggiunsero i politici; gli avventurieri come Thomas Edward Lawrence, più noto come Lawrence d’Arabia, o le figure del mondo dello spettacolo quali il creatore dei Ballets Russes, Sergej Djagilev, i ballerini Vaclav F. Ni‑inskij o Anna Pavlova, la ballerina Mata Hari o, più avanti nel novecento, le attrici Marlene Dietrich e Greta Garbo, o la soprano Maria Callas. Furono talmente tante le personalità dirette a Istanbul che, per alloggiarle, nel 1895 venne fondato il sontuoso hotel Pera Palas: dominava il Corno d’Oro e vi si accedeva direttamente dalla stazione di Sirkeci tramite carrozze speciali. Nonostante i numerosi comfort e i progressi tecnologici di cui poteva vantarsi l’Orient Express, non mancarono gli imprevisti.

Le intemperie, per esempio, bloccavano a volte il convoglio, che rimaneva avvolto da temperature così basse che spesso i viaggiatori dovevano dormire vestiti e i membri dell’equipaggio erano costretti a percorrere chilometri e chilometri sulla neve per procurarsi il cibo. Subì pure alcuni deragliamenti, tra cui quello avvenuto nel 1907 nelle vicinanze di Budapest, che ebbe testimoni d’eccezione come lo scrittore spagnolo Vicente Blasco Ibáñez, in quel momento nel vagone ristorante. «Nel guardarmi attorno non riconobbi niente. Ogni cosa era rotta, distrutta, come se vi si fosse abbattuta una palla di cannone. Corpi a terra, tavole cadute, tovaglie lacerate, liquidi che gocciavano: caffè, liquore, sangue; piatti in frantumi e tutti i vetri del vagone, i grandi vetri, divenuti ormai lamine acute e sparse a terra come trasparenti lame di spada».

Tuttavia, non furono i disastri o le difficoltà a causare la decadenza del mitico treno. Erano passati solo trent’anni dalla sua inaugurazione quando lo scoppio della Prima guerra mondiale tarpò le ali al sogno di Nagelmackers, cioè a un treno che superasse le frontiere e mettesse in comunicazione un’Europa unita. Durante il conflitto, l’Orient Express interruppe le proprie corse e il servizio riprese solo nel 1918.

L’apertura del traforo del Sempione, che aveva unito la Svizzera all’Italia, rese possibile nel 1919 la creazione di un treno alternativo, il Simplon Orient Express, che da Parigi passava a Losanna, Milano, Venezia e Trieste per poi riunirsi al percorso originario a Belgrado. In tal modo il treno non sarebbe passato in Germania: le potenze vincitrici non volevano che circolasse nei territori della rivale sconfitta.

Ciononostante, l’euforia dei ruggenti anni venti sembrò restituire all’espresso il suo antico splendore. Si aprì una terza via (l’Arl-berg Orient Express) che, sempre da Parigi, percorreva l’Europa attraverso Zurigo, Innsbruck e Budapest, con alcune ramificazioni che proseguivano sino a Bucarest e ad Atene. Pure Londra si unì alla rotta del Simplon: i passeggeri prendevano un treno fino a Dover, dove s’imbarcavano su un traghetto che trasportava alcuni vagoni a Calais. Da lì continuavano fino a Parigi e si agganciavano al convoglio principale alla Gare de l’Est. La presenza di più linee comportò un notevole rinnovamento del treno, che venne dotato di mobili in legno pregiato e vasellame d’argento proveniente dalla fabbrica italiana Cesa 1882, considerata la migliore del mondo.

Il rinnovato splendore durò assai poco, perché la Seconda guerra mondiale costrinse a interrompere ancora il servizio. Dopo il conflitto, la frontiera tra la Jugoslavia e la Grecia rimase chiusa sino al 1951, e tra il 1952 e il 1953 venne ostruito il passaggio tra la Bulgaria e la Turchia, per cui il treno non poteva più raggiungere Istanbul.

Alla fine del XX secolo, con la caduta della cortina di ferro, i paesi satelliti dell’Urss cambiarono i vagoni originali per delle versioni locali, di qualità scadente.

L’Orient Express non aveva più la fama di un tempo, e non forniva lo stesso servizio. Nella sua dettagliata opera Orient-Express, Pierre-Jean Rémy raccoglie la testimonianza di un’anziana aristocratica, negli anni trenta assidua viaggiatrice: «Che ci possiamo fare? È cambiato tutto […] Il tempo dei principi ha lasciato il posto al tempo dei lavoratori. L’uomo che viaggia con il vestito di panno è soltanto un venditore di corsetteria, quell’altro un giornalista da due soldi; la donna dal cappello vistoso e le curve esuberanti non è neppure una demi-mondaine, bensì la sposa di un losco funzionario […] I tempi non sono più gli stessi!». La signora manifestava la medesima delusione che provò lo scrittore francese Paul Morand, ammiratore incondizionato del treno e della sua leggenda, quando nel 1959 scrisse: «L’Orient Express è diventato un treno fantasma i cui passeggeri riflettono amaramente la condizione umana. Alla nostra frivolezza, forse eccessiva, è succeduta l’angoscia».

La Guerra fredda e l’evoluzione della tecnica facevano emergere un mondo nuovo in cui non c’era più spazio per la raffinata frivolezza dell’Orient Express. Il servizio iniziò a languire fino alla sua soppressione, avvenuta nel 1977. Non funzionò nemmeno un ultimo tentativo di rinnovarlo agli inizi del terzo millennio. L’alta velocità e i voli low cost avevano definitivamente eclissato l’aura magica e misteriosa del treno più leggendario della storia.

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